Un viaggio lungo una vita

Non si finisce mai di stupirsi. La vita è un percorso che non porta da nessuna parte.

Ho scritto queste due frasi, scollegate tra loro, anche banali, senza nemmeno sapere perché. Mi sono venute fuori in modo casuale, non legate a qualcosa di specifico, scaturite naturalmente da dentro. Poi, riguardandole, ho cominciato a scorgere elementi di riflessione, e di collegamento tra esse.

Spesso ci affanniamo verso una meta. Camminiamo, corriamo, sudiamo per raggiungere un momento migliore, un porto più sicuro, una pace più ampia, una casa più grande. Non guardiamo, o, se guardiamo, non vediamo niente.

“MI dico che la terra si è spenta, sebbene io non l’abbia mai vista accesa” dice Clov in Finale di partita di Samuel Beckett, quando finalmente ha il coraggio, e la forza, di abbandonare la sua prigione-fortezza. E così, spesso, siamo noi. Noi, che camminiamo a testa bassa rincorrendo e superando i giorni. Noi che vediamo solamente “un po’ di polvere nera tra i piedi” (è ancora Clov nello stesso monologo).

Clov mostra una forza inconsueta; simboleggia la presa di coscienza, improvvisa e illuminante, che fa preferire un futuro ignoto a un vissuto costante, mediocre, predeterminato, inesorabile. Un futuro da cogliere senza fanfare, in modo sommesso ma determinato.

Poi c’è lo stupore. Già, lo stupore. In Oriente è un concetto ben noto. Se scorriamo la letteratura zen troviamo infiniti riferimenti all’accogliere le cose senza preconcetti, così come sono, con quello che viene chiamato atteggiamento del principiante. O lo stato d’animo di un bambino, che spalanca la bocca di meraviglia davanti alle infinite cose nuove che trova sulla propria strada. Che vive il tempo come un flusso, e non come la successione di stati, e di momenti finiti. Che si ubriaca del tempo, invece di centellinarlo e talvolta di maledirlo.

Il legame tra le due frasi iniziali comincia a mostrarmisi più chiaro: la vita scorre, e noi ci siamo dentro, osservando senza giudicare, anziché giudicando senza osservare.

Dove corriamo? Ci sarà per forza, da qualche parte, un qualche traguardo, oppure, semplicemente, navighiamo nel buio a tutta velocità verso l’ignoto? Andiamo da qualche parte o, piuttosto, giriamo in tondo, come il tempo in Cent’anni di solitudine?

Sono domande che, periodicamente, mi rivolgo da decenni. Ma, sinora, non ho messo insieme nessuna risposta sincera, soddisfacente. Niente che mi guidi, mi faccia correre, mi faccia volare.

Ultimamente sento molto il senso della morte. Avverto la ineluttabilità del distacco, ho perso la serenità. Ogni giorno trascorso mi sembra semplicemente un giorno in meno da vivere. Ogni ora che passa, mi sembra di averla buttata via. Ma buttata via perché? Per cosa? Che cosa aspetto? Che cosa vorrei, e che cosa, invece, temo?

Vivere i giorni. È questa la grande difficoltà. È anche il fine ultimo, insieme ad amare?

Lascia un commento